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Фото автораДана Кучмаш

HOLODOMOR. CANCELLAZIONE DELLA MEMORIA

Il blocco dell’informazione fu lo strumento importante per realizzare l’Holodomor come il genocidio in Ucraina. L’uscita dell’informazione sui morti per fame fuori dai confini sovietici poteva non solo danneggiare l’immagine internazionale dell’URSS, il quale proprio all’inizio degli anni 30 iniziò a stabilire le relazioni diplomatiche con i paesi occidentali, ma anche far sì che questi paesi tentassero di aiutare i cittadini morenti di fame.

Proprio la diffusione internazionale dell’informazione riguardante la fame degli anni 1921-1922, permise di fornire gli aiuti significativi, salvando in questo modo tante persone dalla morte per fame. Negli anni 1932-1933 ciò non doveva accadere. Coloro che furono condannati da Stalin alla morte dovevano morire a tutti costi. Perciò l’assedio militare del territorio, il quale non permetteva di scappare dal ghetto della fame, fu completato con efficienza con il muro di silenzio il quale ostacolava qualsiasi fuoriuscita della verità.

Tuttavia, nel 1932 furono pubblicati gli articoli dei giornalisti britannici Gareth Jones del “The Times” londinese, e Malcolm Muggeridge del “The Guardian” i quali rischiando la vita svolsero il viaggio nei villaggi ucraini per raccontare lo scenario della morte per fame. L’Unione sovietica rispose con un colpo serio, utilizzando come strumento di propaganda il giornalista americano del “The New York Times”. Il vincitore del Premio Pulitzer nel 1932, Walter Duranty, il quale visitò diverse volte l’URSS, e in privato confessava di essere perfettamente a conoscenza della fame spaventosa, pubblicamente lo negò e lo definì un’invenzione.

“Nell’URSS non c’è fame” staliniano pronunciato da Duranty fu convincente per tanti politici occidentali, anche perché loro volevano credere a questa definizione per stabilire al più presto “le relazioni economiche vantaggiose” con lo stato pronto a vendere a prezzi stracciati il grano sequestrato ai contadini, e ad acquistare le attrezzature industriali in grandi quantitativi.

Gli organi della sicurezza sovietici tenevano sotto controllo i consoli tedesco, italiano e giapponese, i quali si interessavano della situazione in Ucraina e potevano trasmettere l’informazione sulla fame fuori dai confini dell’URSS. Inoltre, i cekisti effettuavano con successo le “soffiate” dei dati a loro favore. Ad agosto del 1933 in Ucraina arrivò l’ex primo ministro francese Édouard Herriot, accompagnato da altri tre politici francesi. Tale visita fu considerata un importante passo della campagna pubblicitaria, lo scopo della quale fu la testimonianza dell’efficienza delle riforme staliniane. Perciò i seguaci sovietici del conte Potiomkin lavorarono con fervore.

Secondo le comunicazioni del dipartimento regionale di Odesa del GPU (Direttorato politico dello Stato), i politici francesi furono tenuti costantemente sotto il controllo dei cekisti, i quali definivano il loro itinerario, e organizzavano per loro gli incontri con i “contadini felici”. I contadini raccontavano della loro “vita sazia”: ogni giorno gli fornivano 15 kg di pane, oltre alla frutta e verdura, avevano diritto di possedere un giardino, un orto, il bestiame, il mangime per il bestiame, e la direzione del kolhoz portava il pranzo caldo direttamente nei campi. Per convincere gli ospiti stranieri che i contadini non avevano le difficoltà con il cibo gli agricoltori mostravano i depositi “stracolmi di grano”. E per finire il viaggio gli “ucraini felici” regalarono ai francesi le camicie e salviette ricamate, i quali evidentemente dovevano dimostrare che i contadini non solo erano sazi con il pane ma anche ricchi spiritualmente grazie alle proprie tradizioni nazionali.



Lettera del contadino Mykola Reva a Stalin

In seguito a questa visita i servizi segreti constatarono in modo soddisfacente che il signor Herriot fu entusiasta di quello che vide durante i ricevimenti ufficiali e ciò annotava nel suo taccuino. I giornalisti francesi inviarono nelle loro redazioni i reportage che sarebbero potuti essere firmati dagli stessi cekisti.

Il blocco rigido dell’informazione intorno all’Holodomor continuò anche dopo la sua fine. Allora lo scopo principale del blocco divenne il nascondere i dati effettivi del crimine. La riduzione drastica della popolazione all’epoca fu evidente. Il contadino Mykola Reva nella sua lettera a Josef Stalin, con la quale ingenuamente voleva “aprire gli occhi” al leader dei popoli, raccontava che nel 1941 la prima elementare la frequentavano solo tre alunni. Questa riduzione non poteva essere evitata dalla statistica. Per questo motivo il censimento di gennaio del 1937 fu controllato rigidamente dal NKVD. Ciò nonostante i risultati del censimento non furono soddisfacenti secondo i comunisti: le perdite della popolazione furono sempre troppo alte. Perciò i dati all’inizio furono messi sotto il sigillo “top secret” e poi distrutti. Dopodiché liquidarono anche gli esecutori del censimento, furono accusati del complotto e dell’attività antisovietica.



Foto incriminante di Mykola Bokan': "300 giorni senza un pezzo di pane"

Nel 1941 a Kyiv furono distrutti le migliaia di documenti del Commissariato del popolo per la sanità dal periodo dell’inizio degli anni 30, i quali evidentemente potevano contenere l’informazione riguardo alla fame. Neanche un documento sulla tragedia doveva esistere. In seguito a queste azioni rimasero solamente i documenti top secret, le autorità sovietiche consideravano le proprie misure di segretezza sufficienti per l’inaccessibilità all’informazione, per questo motivo i documenti top secret non venivano distrutti.

I ricordi dell’Holodomor dovevano essere cancellati non solo dai documenti ufficiali ma anche dalla memoria dei testimoni della tragedia. Perciò, i cekisti perseguitavano persistentemente tutti coloro che cercavano di conservare questi ricordi e per di più se cercavano di tramandarli. Il destino di Oleksandra Radchenko, condannata per aver scritto un diario all’epoca dei fatti, fu una regola. Il contadino Mykola Reva per aver scritto la lettera citata sopra fu condannato a sei anni di reclusione. Il suo fascicolo nell’archivio del SBU non è l’unico, negli anni 1930-1940 la gente fu condannata per qualsiasi accenno all’Holodomor. Nei fascicoli di questi “calunniatori” troviamo le “prove del crimine”: le lettere, in particolare indirizzate a Stalin, le poesie e le annotazioni nei diari. L’abitante di Baturyn Mykola Bokan’ fu accusato della propaganda antisovietica in base alla foto in suo possesso datata del 3 aprile 1933 con l’intestazione “300 giorni senza un pezzo di pane”.

I cekisti si convinsero che i ricordi dell’Holodomor cancellati dai documenti e dalle memorie dei testimoni furono spariti per sempre, nascondendo uno dei più grandi crimini della storia dell’umanità. Tuttavia, le migliaia di ucraini sopravvissuti alla tragedia rimasero fuori dalla portata dei servizi segreti sovietici. Loro ebbero la possibilità di raccontare al mondo intero la verità, e per questo divennero pericolosi per il regime comunista. Negli anni 80, tanti anni dopo aver commesso il crimine, i cekisti avviarono contro di loro una guerra d’informazione, la quale però persero completamente.

Fonte: Volodymyr Viatrovych "Ucraina: Storia classificata"

Traduzione di Dana Kuchmash




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